giovedì 17 febbraio 2011

Bombe atomiche Usa in Italia


Gianni Lannes
Ordigni nucleari nordamericani -a centinaia- occultati in Italia da mezzo secolo e pronti all’uso, così come nel resto dell’Europa.
Lo scorso lunedì 7 febbraio, la Russia -governo e Duma- è tornata a chiedere agli USA di “far rientrare negli Stati Uniti le proprie armi nucleari e smantellare le infrastrutture costruite per loro nelle basi in territorio straniero”. Pochi lanci di agenzia, e nessuna attenzione da parte dei media italiani.
L’Europa, Italia in testa, continuano a non rendersi conto della quantità di bombe atomiche americane che hanno in pancia.
I Rapporti segreti del Pentagono, per quanto riguarda l’Italia, parlano chiaro: «La loro forza esplosiva distruggerebbe all’istante e completamente un’area equivalente alla metà della superficie geografica italiana, con un impatto distruttivo avvertibile in un’area equivalente a 10 volte le dimensioni della Penisola». Altro che nuove centrali per fornire energia e scorie prive a tutt’oggi di sicurezza o affondate nei mari della Penisola. «Si tratta di una presenza ignorata dal 60 per cento degli europei e da quasi il 70 per cento degli italiani». E’ il risultato di un sondaggio commissionato da Greenpeace a StratCom (Eurisko per l’Italia) nel 2006 e molto poco noto anche al tempo. Non è tutto: «Il 71,5 per cento degli italiani dice no alla presenza di testate nucleari in Europa e i due terzi degli europei che ospitano testate Nato la pensano allo stesso modo»......
Una volta informati della presenza di testate nucleari nel Belpaese, sei italiani su dieci si sono mostrati preoccupati. E a ragione.
L’ultimo rapporto in materia di Greenpeace “Ordigni nucleari Usa/Nato: sicuri?” delinea il rischio offerto da questi potenziali obiettivi di attacchi terroristici. Ogni testata è anche un impedimento a ulteriori riduzioni degli ordigni tattici in Russia e ai negoziati in corso in Iran sul disarmo nucleare. Lo studio dell’associazione ecologista sottolinea come, attraverso l’ammodernamento tecnologico in corso nella Nato, i sei Paesi che ospitano le armi atomiche possano rimuovere questa minaccia restituendo agli Usa le testate: la strada è già stata tracciata da Canada, Grecia, Danimarca e Islanda. “Il presidente degli Stati Uniti Obama può decidere l’impiego delle armi nucleari senza il permesso italiano”, commenta Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. “Non è lontano uno scenario di guerra in Iran che preveda l’impiego di bombe B61, proprio quelle 480 presenti nelle basi europee. Questa complicità nella politica estera di un altro Paese, che ha rivisto la dottrina nucleare, postulando la possibilità di fare un primo “colpo” nucleare preventivo è inaccettabile. Il centinaio di testate nucleari che stanno a Ghedi Torre e Aviano devono tornare negli Usa”.
L’aveva ribadito anche Romano Prodi: “la strada da privilegiare è quella preventiva e diplomatica perché c’è la possibilità che dall’Italia possa essere sferrato un attacco nucleare contro l’Iran”. Dopo l’ultima revisione del Nuclear Posture Review del Pentagono, gli USA non escludono la possibilità di impiegare armi nucleari per prevenire un attacco nucleare imminente o potenziale o per evitare che altri paesi possano dotarsi di capacità nucleare militare.
La guerra atomica è, allo stato dei fatti, una minaccia reale. E i piloti statunitensi possono decollare con armamenti atomici dalla basi italiane senza che sia necessaria alcuna decisione del nostro governo.
Le atomiche di proprietà degli Stati Uniti d’America schierate in Italia complessivamente hanno una potenza distruttiva pari a 900 volte l’effetto prodotto sulle bombe sganciate alla fine della seconda guerra mondiale dagli Usa sul Giappone (Hiroshima e Nagasaki). «Gli ordigni in questione sarebbero le bombe B61, ordigni tattici affusolati adatti ad essere trasportati, fissati alle ali, dai cacciabombardieri; la loro potenza può variare da 0,3 a 170 chilotoni; quella della bomba sganciata su Hiroshima era di circa 15». E’ quanto si legge nell’interrogazione parlamentare di Mauro Bulgarelli (Verdi) indirizzata al ministro della Difesa il 17 febbraio 2005, a tutt’oggi senza alcuna risposta.
Ognuno di questi ordigni ha una capacità distruttiva fino a quindici volte quella di Hiroshima e messi insieme avrebbero la capacità di disintegrare in pochi attimi la vecchia Europa.
Come mai la situazione viene celata ai cittadini italiani che, nel 1987 con un referendum hanno espresso un rifiuto netto del nucleare? “L’Italia è un Paese a sovranità limitata”, argomenta l’ammiraglio (in pensione) Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa della Camera, “in caso di incidente, non esiste alcun piano coordinato di emergenza tra autorità militari, protezione civile, prefettura ed enti locali. E’ del tutto evidente che ci troviamo di fronte a una grave lesione delle prerogative democratiche del Parlamento, che rimane all’oscuro di ciò che accade nelle basi e della natura degli accordi tra Italia e Usa”.
Secondo lo studio del Natural Resources Defence Council «La presenza di bombe nucleari a Ghedi Torre sarebbe relativamente recente e posteriore alla guerra fredda». Il campo di aviazione a capacità di offesa atomica più vicino al Ticino avrebbe infatti ricevuto a metà degli anni ’90 le testate in precedenza schierate a Rimini.
“La responsabilità operativa è passata dagli Stati Uniti all’Italia e gli ordigni sarebbero destinati a essere lanciati dai Tornado della 102a e della 154a squadriglia, appartenente al sesto stormo” spiega l’ammiraglio Accame. La presenza degli ordigni nucleari in Italia non è mai stata confermata ufficialmente se non in un’occasione, il 1 marzo 2005, dal sottosegretario alla Difesa Giuseppe Drago in risposta ad un’interpellanza urgente (2/01481) sottoscritta da 32 parlamentari. Drago aveva ammesso a denti stretti che «la presenza di armi nucleari in Europa, sul territorio di paesi alleati non detentori di ordigni nucleari, costituisce un aspetto essenziale del nuovo concetto strategico della NATO che assicura la copertura, ma anche il coinvolgimento dell’intera Alleanza, nel cosiddetto ombrello nucleare della NATO stessa».
Aviano è una struttura in territorio italiano che gode di un’ampia extraterritorialità, ma anche nell’aeroporto tricolore di Ghedi le regole non cambiano: i nostri militari non hanno potere decisionale sulle bombe nucleari. Oltretutto, nello Stivale, dai tempi della guerra fredda, quando decine di missili nucleari a lunga gittata stazionavano in Puglia, più precisamente sulla Murgia barese (poi smantellati dal presidente Kennedy) -all’insaputa dei comuni mortali- l’allarme atomico non è mai cessato. Ben due documenti dell’aviazione militare Usa (“U.S. Air Force in Europe”) siglati dai generali Worden e Farrell hanno sgretolato la barriera bellica che avvolge gli arsenali atomici in Europa.
I due elaborati militari rivelano che gli Usa mantengono nel Vecchio Continente un numero di ordigni nucleari notevolmente superiore a quello finora conosciuto. Tale decisione è stata presa nel novembre 2000 dal presidente Clinton (Directive/NSC-74) e ribadita nel 2005 dal successore Bush (Directive/NSC-75). Ben «480 bombe nucleari sono dislocate in otto basi aeree in sei Paesi europei della Nato: 150 in Germania, 110 in Gran Bretagna, 90 in Italia, 90 in Turchia, 20 in Belgio e 20 in Olanda». Nel 2006 -secondo qualificate fonti militari Usa- i 24 ordigni atomici che stazionavano in Grecia, sono stati trasferiti segretamente ad Aviano.
Gli ignari cittadini sono forse esposti a rischi? Come documentano i rapporti dell’U.S. Air Force, «vi sono crescenti problemi di sicurezza relativi alla conservazione di queste armi». L’aeronautica militare americana ammonisce che «la normale procedura può comportare il rischio di esplosioni nucleari accidentali se un fulmine, ad esempio, colpisse gli ordigni del tipo B61».
Per quale ragione di Stato i vari governi italiani non hanno informato l’opinione pubblica? Lo spiegamento delle armi nucleari Usa in Europa è regolato da una serie di accordi segreti, che i governi del Vecchio continente e l’Unione europea non hanno mai sottoposto ai rispettivi parlamenti. Quello che regola le armi nucleari Usa in Italia è lo ‘Stone Ax’: il piano ‘ascia di pietra’. Esso non solo dà agli Usa la possibilità di schierare armi nucleari sul nostro territorio, ma stabilisce il principio della doppia chiave, ossia prevede che una parte di queste armi possa essere usata dalle forze armate italiane una volta che gli Usa ne abbiano deciso l’impiego. A tal fine, documenta il rapporto occulto «piloti italiani vengono addestrati all’uso delle bombe nucleari nei poligoni di Capo Frasca (Oristano) e Maniago II (Pordenone)».
La conferma, seppure velata giunge da un addetto ai lavori. Nel 2005 il colonnello Nicola Lanza De Cristoforis, intervistato quando era comandante del 6° stormo di Ghedi, aveva rivelato: «Da qualche anno ci addestriamo soltanto in Sardegna e sono a conoscenza in parte di questi accordi intergovernativi segreti Italia-Usa». In tal modo, l’Italia, che fa parte con gli Usa del “Gruppo di pianificazione nucleare” della Nato, viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari che, all’articolo 2, stabilisce: «Ciascuno degli stati militarmente non-nucleari, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, direttamente o indirettamente».
Non è tutto: nell’aprile 1999 il governo italiano ha sottoscritto, senza sottoporlo al Parlamento, un accordo sulla “pianificazione nucleare collettiva” della Nato in cui si stabilisce che «l’Alleanza osserverà forze nucleari adeguate in Europa, con caratteristiche di flessibilità e capacità di sopravvivenza tali da essere percepite come un elemento credibile ed efficace nella strategia atlantica di prevenzione dei conflitti». Tale strategia, consistente nel «prevenire i conflitti» tenendo gli altri sotto mira con le proprie armi nucleari, fa propria la “Direttiva 60” promulgata nel 1997 dal presidente Clinton: essa stabilisce che «le armi nucleari non solo continuano a essere puntate su Russia e Cina, ma possono essere usate contro stati-canaglia e contro soggetti non-statali che minaccino gli Stati Uniti, le loro truppe all’estero e i loro alleati con armi di distruzione di massa, anche non nucleari».
Non ha dubbi Falco Accame: “L’Italia, che ha sempre giocato un ruolo positivo per il disarmo nucleare, deve intervenire in sede diplomatica per ricostruire un clima e una sensibilità politica favorevole al disarmo e alla non proliferazione atomica. L’Europa deve essere libera da armi nucleari. Senza il disarmo nucleare delle potenze atomiche attuali, sarà difficile perseguire la non proliferazione in Paesi come la Corea del Nord, l’Iran o il Giappone che si sentiranno legittimati a proseguire nella direzione sbagliata”.
Ai micidiali ordigni alati si sommano missili e ordigni nucleari nelle basi di Camp Derby (Toscana), a Longare (Veneto), e a Sigonella (Sicilia). Greenpeace chiede ai ministri della Difesa europei di concordare il rientro delle testate atomiche negli Stati Uniti. “La minaccia di un uso di armi nucleari tattiche per risolvere la crisi iraniana è all’orizzonte” segnala Pippo Onufrio “La necessità di riprendere il cammino interrotto del disarmo atomico è urgente e indifferibile. L’Italia deve tornare a giocare un ruolo attivo di pace”.
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CASSAZIONE A SOVRANITÀ LIMITATA
La Corte di Cassazione stabilisce che la magistratura italiana (i cittadini italiani) non ha voce in capitolo sugli ordigni nucleari presenti nel nostro territorio. Così è stata arrestata la causa intentata a Pordenone dai pacifisti sulle atomiche ad Aviano.
I due lanci Ansa risalenti a due anni fa, sono inequivocabili:
« (ANSA) – ROMA, 26 FEB 2009 – CASSAZIONE: BASE AVIANO, PACIFISTI NON POSSONO CONTESTARLA – Infatti, informa la maggiore agenzia giornalistica dell’ex giardino d’Europa – I pacifisti non possono contestare la presenza, sul suolo italiano, della base militare americana di Aviano (Pordenone). Lo sottolineano le Sezioni unite civili della Cassazione nella sentenza 4461, nella quale si dichiara il difetto di giurisdizione della magistratura italiana ad interferire nelle «iniziative volte a realizzare un apparato difensivo nell’interesse comune di due Stati (Stati Uniti e Italia), a tutela della rispettiva sicurezza e nel rispetto di obblighi convenzionalmente assunti». È stato così bocciato il ricorso presentato da alcuni pacifisti, dal comitato “Via le bombe” e dalla Procura del Tribunale di Pordenone».
Il successivo lancio d’agenzia attesta:
«CASSAZIONE: BASE AVIANO, PACIFISTI NON POSSONO CONTESTARLA. Senza successo i pacifisti friulani – le cui ragioni sono state patrocinate da Joachim Lau, l’avvocato che contro la Germania ha ottenuto in Cassazione il diritto al risarcimento per i deportati nei campi di lavoro nazisti – hanno sostenuto che le testate nucleari presenti nella base di Aviano rappresentano un crimine contro l’umanità per il rischio connesso ad eventuali incidenti nucleari. Negli ultimi 50 anni – hanno fatto presente i pacifisti – ci sarebbero stati cinque casi di rischio incidente che avrebbero potuto coinvolgere la zona di Pordenone. Il primo nel 1960, l’ultimo nel 1995. Per la Suprema Corte – si legge nella sentenza depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi lo scorso 2 dicembre – la presenza di testate nucleari – «in forza di pregressi impegni sovranazionali obiettivamente preordinati al perseguimento di imprescindibili esigenze di sicurezza nazionale» – non è in «alcun modo assimilabile» ai crimini contro l’umanità. Agli Stati Uniti deve essere pertanto riconosciuta – come previsto dal trattato Nato firmato a Londra nel giugno 1951 e ratificato dall’Italia nel 1955 – l’immunità statale che non «trova deroga» nemmeno ‘in presenza di attività idonee a ledere o porre in pericolo di vita l’incolumità o la salute dei cittadini dello stato ospitante’ la base straniera».
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US NUCLEAR WEAPONS
Tutte quelle trasferite in Europa sono bombe tattiche B-61, a caduta, in tre versioni (B61-3, B61-4 e B61-10), la cui potenza va da 45 a 300 chilotoni. Le bombe, lunghe 3,5 metri con un peso di 320 chilogrammi, sono tenute in particolari hangar, insieme ai caccia F-15 ed F-16 statunitensi, che dispongono complessivamente di 300 bombe; F-16 e Tornado dei Paesi europei della Nato, che hanno a disposizione complessivamente 180 bombe. Tra questi i Tornado italiani -dislocati attualmente in Afghanistan- che sono armati con 40 bombe (a Ghedi Torre).
Dai risultati di una ricerca condotta dall’associazione ambientalista statunitense Natural Resource Defence Council (NRDC) sulle armi atomiche americane in Europa (Us Nuclear Weapons in Europe) -mai smentita dal governo Usa- emerge un quadro molto diverso da quello che anche in Italia i responsabili della Difesa hanno tentato di avvalorare. Nelle basi di Aviano e Ghedi le bombe sono sotto custodia americana ma, mentre ad Aviano si tratta di ordigni che i piani militari assegnano, in caso di conflitto, ad aerei da caccia degli Usa, gli ordigni nucleari presenti nei depositi di Ghedi sono invece assegnate ad aerei italiani Pa-200 Tornado, con la conseguente necessità di addestramento costante dei piloti italiani nell’eventualità bellica che il presidente americano ordini il loro utilizzo. Secondo il suddetto rapporto «questo contraddice le regole di non proliferazione che Stati uniti ed Europa cercano di imporre ad altri Paesi». La presenza di ordigni bellici nucleari si configura come una violazione della legislazione italiana, che inibisce la presenza e l’uso del nucleare nel territorio nazionale; questa presenza e l’uso di armi nucleari in Europa sono regolati da accordi segreti fra i singoli Paesi e gli Usa; ciò che emerge alle 102 pagine del rapporto riguarda l’attuale assetto nucleare scelto dagli Usa per affrontare possibili scenari di crisi, con obiettivi nel Medio Oriente come Iran, Siria e anche Russia.
Il generale James Jones, comandante supremo delle forze Nato, ha sottolineato come «alcuni Paesi che mantengono sul loro territorio ordigni nucleari, e tra questi l’Italia, insistono per mantenere questa presenza»; ciò perché, secondo il rapporto, consente loro di mantenere influenza nell’ambito dell’alleanza.
La base di Ghedi è l’unica a livello europeo nella quale gli hangar che proteggono l’arsenale atomico sono pieni al 90 per cento della capacità teorica, contro una media delle altri basi del 50 per cento. Al Sesto Stormo dell’Aeronautica militare italiana di stanza nella base di Ghedi può essere assegnata una missione di attacco in caso di conflitto nucleare. «Negli ultimi 5 anni», rivela il rapporto Us Nuclear Weapons in Europe «esperti americani hanno compiuto un intervento discreto su tutte le testate atomiche in Europa, per renderli più agevoli da controllare e più stabili durante il trasporto sui bombardieri, spostandole dalle aviorimesse e smontandole per la manutenzione».
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SITE PLUTO (LONGARE, VICENZA)
Top secret le finalità dei lavori avviati nel 2007 nella base di Longare, l’ex ‘Pluto Site’ utilizzato per l’immagazzinamento di mine e testate nucleari per i missili a corto raggio dell’US Army. Nelle profonde gallerie della base sarebbero stati ammodernati e riattivati i depositi di stoccaggio armi, munizioni e attrezzature della 173^ Brigata Aviotrasportata e dei reparti che saranno utilizzati in ambito AFRICOM, il Comando USA per le operazioni nel continente africano di recente costituzione.
Secondo il MILCON (Military Construction) , 350.000 dollari del budget 2008 sono stati spesi per “allargare, allungare e riparare le strade, i marciapiedi e i sentieri di Longare, e per installare nuove fognature, linee elettriche e impianti d’illuminazione”.
Dal dicembre 2008 l’Unità statunitense della Riserva di stanza a Longare è stata posta agli ordini del 7° Civil Support Command dell’US Army con base in Germania, l’unico presente fuori dagli Stati Uniti d’America, responsabile della gestione degli affari civili delle forze terrestri USA in Europa. Alla vigilia dell’attivazione del Civil Support Team di Longare, i militari ad esso assegnati hanno condotto una controversa esercitazione di 76 giorni nel poligono di Fort Leonard Wood (Missouri) simulando uno scenario realistico di guerra chimica con l’uso di gas nervini. Successivamente il CVT di Longare ha avviato corsi basici per i residenti USA di Vicenza sulle armi nucleari, chimiche e batteriologice e sull’equipaggiamento personale di protezione.
Arianna Editrice

venerdì 7 gennaio 2011

Barilla: ombre belliche di un “made in Italy”


di Gianni Lannes

Il marchio italiano non è solo pasta e tarallucci del mulino bianco, bensì una “magica unione” di finanziatori ed alleati, soprattutto produttori di armi: ad esempio il micidiale cannone 20 millimetri (Oerlikon) adottato con furore da Hitler e in seguito dai dittatori di mezzo mondo. Anda-Bührle e Barilla: una saga di famiglie d’altri tempi. Generazioni e identità accomunate dal senso della produzione e vendita al miglior offerente, ingraziandosi il consenso popolare mediante pubblicità dilagante sui mass media. Occhio, non è tutta d’un pezzo la proprietà: la ditta parmigiana in attività dal 1877 non è quotata in borsa, ma vanta un socio storico imbarazzante. Per dirla con uno spot che addomestica le coscienze: “scopri il mondo di casa Barilla, iscriviti e diventa protagonista”. Detto e fatto: gratta… gratta vai a fondo. L’accordo della serie latina “pecunia non olet”, risale al passato remoto, appena sbianchettato.

Infatti, nell’anno 1979 Hortense Bührle (maritata Anda) – figlia del famigerato Emil Georg (al soldo di Hitler) e sorella del pregiudicato Dieter (responsabile della morte in Africa di milioni di innocenti, prevalentemente donne e bambini, come accertato dall’Onu) nonché madre dell’ingegnere Gratian – investe 10 milioni di dollari per acquistare il 15 per cento della nota marca emiliana. La Barilla è a caccia di denaro fresco: ha bisogno di iniezioni in moneta sonante senza andare troppo per il sottile. Hortense (nata il 18 maggio 1926, originaria di Ilsenburg am Harz, ma naturalizzata a Zurigo nel 1937) ha sposato nel 1964 il pianista Géza Anda. Nel 1969 la gentildonna ha un figlio di nome Gratian, che in seguito diviene ingegnere elettronico, nonché consulente di direzione della McKinsey. Secondo il Dizionario Storico della Svizzera (Historisches Lexikon der Schweiz, Band, 1, 322) la signora è a tutti gli effetti:

«Coerede e grande azionista del gruppo industriale Bührle, dal 1956 ha fatto parte dei consigli di amministrazione della Oerlikon-Bührle Holding AG, della Bally International AG e della Ihag Holding AG».

Chi sono i Bührle-(Anda)? Scomodiamo a tal proposito, tra le innumerevoli fonti informative ben documentate a disposizione, proprio uno studioso elvetico (mai smentito), ovvero Jean Ziegler che nel 1997 per la casa editrice Mondadori ha pubblicato il saggio, La Svizzera, l’oro e i morti. Alle pagine 175-179 si legge:

«I fabbricanti d’armi svizzeri furono particolarmente preziosi per Hitler. La Svizzera è leader mondiale nella meccanica di precisione: i congegni di puntamento dei cannoni svizzeri, la precisione delle mitragliatrici e dei mortai, i cannoni antiaereo a tiro rapido erano (e restano) i migliori del mondo. Hitler ne ordinò decine di migliaia; l’addestramento degli artiglieri – sia dell’esercito sia delle SS – destinati a manovrarli si svolse sotto la direzione svizzera. L’industria bellica elvetica presentava un ulteriore vantaggio: poiché produceva in territorio neutrale, non veniva bombardata dagli Alleati. La fabbrica di armi di gran lunga più potente del paese, che era anche una delle maggiori del mondo, apparteneva a un figlio di emigrati del Wurtemberg: Emil Bührle. Le sue officine erano situate soprattutto a Zurigo-Oerlikon.

I suoi affari con il Reich gli fruttarono guadagni considerevoli: tra il 1939 e il 1945 le sue entrate ufficiali passarono da 6,8 a 56 milioni di franchi svizzeri e il suo patrimonio personale da 8,5 a 170 milioni. Bührle era amico personale di Albert Speer, il ministro nazista degli armamenti e della produzione di guerra, nonché del barone von Bibra, un consigliere di legazione che fu forse l’intermediario più importante tra i dirigenti nazisti e gli industriali svizzeri. Bührle era un habitué delle cene offerte da Otto Carl Köcher, l’ambasciatore tedesco a Berna. A partire dall’estate del 1940 fino alla primavera del 1945, il gruppo Bührle fu quasi esclusivamente al servizio di Hitler. Nel 1941 offriva lavoro a 3761 persone, vale a dire tre volte di più che all’inizio della guerra. In origine, la Bührle-Oerlikon fabbricava macchine utensili, ma in seguito all’invasione della Polonia si riconvertì agli armamenti: nel 1940 le armi e le munizioni rappresentavano il 95 per cento di tutta la sua produzione.

Il punto forte del suo catalogo era il cannone antiaereo da 20 millimetri, molto apprezzato da Hitler, in quanto abbatteva un gran numero di aerei alleati. Bührle era il caratteristico padrone da lotta di classe; aveva orrore dei sindacati, in special modo del coraggioso leader sindacale e deputato di Zurigo Hans Oprecht (…) Per la cronaca, bisogna sapere che la vittoria spiacevolmente rapida degli Alleati impedì a Bührle di smaltire tutte le sue scorte di cannoni; molte delle forniture ordinate dai nazisti restarono a Oerlikon dopo il 1945. Tuttavia, anche dopo il suicidio del suo miglior cliente, Bührle seppe trovare una soluzione: cominciò a esportare le sue armi di morte nel Terzo Mondo. La guerra del Biafra durò dal 1967 al 1970 (…) Le Nazioni Unite decretarono il blocco economico e militare nei confronti del Biafra e la Svizzera aderì alla proibizione di esportare armi. La guerra fece due milioni di vittime, principalmente donne e bambini. Il Biafra capitolò e nelle sue caserme gli ispettori dell’Onu trovarono dozzine di cannoni Bührle. Alcuni recavano ancora la croce uncinata e i numeri di serie tedeschi: si trattava delle forniture Oerlikon, già pagate dai nazisti e pronte a essere loro consegnate, che Bührle aveva rivenduto a Ojukwu.

Per questo eccellente affare, Dieter Bührle – erede di suo padre Emil – fu condannato dal tribunale federale a una multa di 20.000 franchi svizzeri per non aver rispettato l’embargo (…) I fornitori svizzeri di Hitler facevano i loro affari in un ambito in cui i valori etici non avevano importanza».

Nel dopoguerra, la famiglia Bührle-Anda ha venduto armi a paesi sotto embargo e regimi notoriamente dittatoriali: Sudafrica, Nigeria, Indonesia, solo a citarne alcuni. Secondo il quotidiano spagnolo El Mundo, nel 1999 anche i bombardamenti con munizioni all’uranio impoverito (DU) in Kosovo, sono stati realizzati grazie alla produzione di questa benemerità famiglia elvetica di origini tedesche. L’European Network Against Arms Trade ha documentato con prove inequivocabili vendite di fucili d’assalto, razzi e missili contraerei all’Indonesia per 1,8 milioni di franchi svizzeri tra il 1982 e il 1993 attraverso la controllata Contraves, nonostante l’embargo in corso per violazione dei diritti civili. Sempre nel ‘93 grazie alle forti pressioni che la società bellica mise in atto per convincere il Parlamento Svizzero ad autorizzarle, furono venduti illegalmente armamenti per importi pari a 10 milioni di franchi. Nel 2000 il gruppo Oerlikon-Bührle si è inventato un nuovo profilo mutando il nome in Unaxis e diversificando gli investimenti in vari modi: ad esempio grazie ad un grazioso albergo sul fronte svizzero del Lago Maggiore. I Barilla, comunque, entrano personalmente in società con questi spietati mercanti di morte. Il denaro insanguinato che ha alimentato conflitti a danno degli esseri umani più inermi (senza valutare i defunti a causa della seconda guerra mondiale, solo in Biafra 2 milioni di vittime civili) – senza alcuna ombra di dubbio – è frutto della produzione e del traffico di armamenti in paesi in cui l’unica regola è la sopraffazione.

Le armi, come noto, sono strumento essenziale di tutte le forme peggiori del saccheggio globale moderno impastato di violenza. Nel 1999 il gruppo Bührle passa di fatto a Gratian Anda. Il 10 ottobre 2001 (e-mail delle ore 15:57:58, acquisita integralmente e legalmente dal giornale Italia Terra Nostra), un dirigente aziendale di rilievo, tale Armando Marchi scrive:

“Sono il responsabile delle Relazioni Esterne del gruppo Barilla.
Mi permetto di osservare che, se si eccettua il periodo dal 1973 al 1979 (in cui è stata di proprietà della multinazionale Grace), la Barilla è dal 1877, anno della sua fondazione,saldamente in mano alla famiglia Barilla, che ha sempre vissuto dei frutti del lavoro in campo alimentare.
Il signor Gratian Anda, che tra l’altro non è nel Consiglio di Amministrazione del Gruppo Barilla, rappresentava una quota di minoranza (il 15%) detenuta da una Società finanziaria olandese: un investitore meramente finanziario, non un’industria bellica.
Non abbiamo mai utilizzato la correttezza come strumento di marketing, e ritengo anche che non sia immeritata la trasparenza che ci viene riconosciuta dalla “Nuova Guida al consumo critico.”

Incongruenze o sgangherate menzogne dalle gambe corte? Il nipote di Emil George Bührle nel 2000 ha ricoperto la carica di vice presidente della Barilla; attualmente è consigliere di Barilla Iniziative S.r.l., anche se nel Bilancio 2009 il suo nome non si legge addirittura. Prove? A iosa. Il documento ufficiale di casa Barilla denominato “Corporate Governance” indica – nella società a responsabilità limitata Barilla Iniziative S.r.l. – tra i consiglieri, vicino ad Emanuela Barilla (sorella del presidente Guido Maria) proprio il convitato di pietra, detto altrimenti Gratian Anda (nato a Zurigo il 22 dicembre 1969), in buona compagnia degli inseparabili Nicolaus Issenmann e Robert Singer. Lo stesso Issenmann (per gli amici semplicemente Nico) siede accanto a Guido Maria Barilla nella società controllata dal Gruppo, meglio detta Lieken AG. Se Pietro Barilla pagava tangenti miliardarie sotto spinta di Silvio Berlusconi attingendo da conti segreti svizzeri, il figlio Guido Maria, attuale presidente del Gruppo forse non ha mai sfogliato un libro di storia contemporanea o una rivista di cronache. A lui il giornale Italia Terra Nostra ha chiesto chiarimenti che però latitano. Il rampollo è troppo indaffarato negli Usa? Appunto la morale di facciata, o meglio, fuori tempo limite che scomoda addirittura Kant. Meno male che il consiglio di amministrazione della Barilla – in “zona Cesarini”, si fa per dire – il 4 marzo 2005 ha recuperato terreno almeno sulla carta, approvando un Codice Etico di 24 cartelle.

Nel testo, a pagina 11 è inciso:

«Barilla considera come punti irrinunciabili nella definizione dei propri valori la Dichiarazione universale dei Diritti Umani dell’Onu».

Belle parole, o forse chiacchiere al vento, anzi fumo negli occhi degli ignari consumatori. Ma la sostanza? Magari un ravvedimento all’ultimo istante dei fratelli e sorella Barilla (Guido Maria, Luca, Paolo, Emanuela)? Nulla, per ora. Il dna parmense non tradisce il lauto business. Narrano le cronache del quotidiano Il Corriere della Sera (12 luglio 2008):

“La famiglia Barilla «premia» il socio svizzero Anda-Bührle. Accelera il riassetto del gruppo: più peso agli azionisti storici. La Finba Iniziative concentrerà altre attività e sarà partecipata all’ 85% da Barilla Holding e al 15% dagli elvetici. Riassetto al vertice del gruppo Barilla che dopo molti anni ridefinisce i rapporti con il socio di minoranza storico (15%), la famiglia svizzera Anda-Bührle, entrata alla fine degli anni Settanta. Le modifiche nella governance e nelle relazioni partecipative stanno entrando in questi giorni nella fase esecutiva con la fusione in Barilla G e R Fratelli, la capogruppo industriale, di quello che fino a ieri è stato il veicolo societario dell’ alleanza, la Relou Italia. Se i tempi saranno rispettati, già dalla settimana prossima la partnership dovrebbe trasferirsi nella nuova holding Finba Iniziative.

Tuttavia non è solo un’ operazione di facciata ma vi è la sostanza di un riassetto societario che accompagna una riorganizzazione industriale al termine della quale il 15% della famiglia Anda avrà più «peso». Nella nuova configurazione, infatti, rispetto al passato saranno concentrate sotto la società comune alcune attività che in precedenza erano fuori dall’ area di influenza degli svizzeri. Secondo una versione che circola in Barilla, si tratta di una specie di premio fedeltà dopo un periodo di turbolenza finanziaria dovuta alla fallimentare acquisizione della Kamps, il gruppo tedesco del pane.

Nel dicembre scorso si era conclusa consensualmente la burrascosa stagione di joint venture con la Banca Popolare di Lodi, entrata in Kamps a sostegno della Barilla subito dopo l’ Opa del 2002. La cessazione del contenzioso ha portato il gruppo della pasta al 100% di Kamps e Harry’ s (prodotti da forno) e contestualmente è stata delineata una nuova struttura di rapporti con gli Anda-Buhrle. Il passo successivo è stato, a marzo, l’ annuncio che le «bakeries» della Kamps, cioè la rete di oltre 900 negozi (quindi non il business del pane industriale), erano in vendita. Poi un mese fa la vendita di GranMilano alla Sammontana e ora sono partite le operazioni più prettamente finanziarie.

La prima è, appunto, la fusione «al contrario» di Relou in Barilla Fratelli. «Al contrario» perché Relou è socia al 49% di Barilla Fratelli che, lo ricordiamo, è la capofila industriale. E in questo modo viene di fatto smantellato il vecchio schema della partnership azionaria con i soci di minoranza. Il successivo step, che in questi giorni sta per essere messo a punto, è il contestuale trasferimento dell’ alleanza in una nuova finanziaria, la Finba Iniziative, che sarà dunque partecipata all’ 85% dalla Barilla Holding (100% famiglia) e al 15% dagli svizzeri. E qui, come aveva scritto «Il Sole 24 Ore» anticipando le linee della riorganizzazione, i due partner dovrebbero siglare un patto parasociale la cui principale materia da regolare sarà, quasi sicuramente, il meccanismo di prelazione sulle rispettive quote. Il gruppo emiliano, 18mila dipendenti, 64 stabilimenti in 11 Paesi, leader mondiale nel mercato della pasta e primo in Italia nei prodotti da forno (Mulino Bianco), ha chiuso il 2007 con 4,2 miliardi di euro di ricavi (+4,3%»)”.

Allora chi controlla realmente la Barilla? E’ in mano a industriali bellici? Nell’interrogazione parlamentare del 13 giugno 1985 (numero 3-00953) – focalizzata anche sulla Ferrero – dei senatori Bonazzi e Riva, indirizzata ai ministri del commercio con l’estero, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e del tesoro, è scritto:

«Premesso: che il 71 per cento della Barilla G. e R. f.lli s.p.a. è posseduto da soggetti di nazionalità non italiana, e cioè per il 40 per cento dalla Financieringsmatschappy Relou N.V. di Amsterdam, per il 16 per cento dalla Pagra A.G. del Liechtenstein e per il 15 per cento dalla società svizzera Loranige S.A.; che 1’81,5 per cento della P. Ferrero e C.S.P.A. è pure posseduto da soggetti esteri, e cioè il 18,75 per cento dalla olandese Brioporte B.V. ed il 25 per cento, per ciascuna, dalle svizzere Nelgen A.G. e Creitanen A.G.; che diversi organi di stampa hanno dato notizia, non smentita, che le società estere che possiedono la maggioranza delle azioni delle due società farebbero capo a soggetti di nazionalità italiana, si chiede di sapere: se sia vero che le società estere che possiedono la maggioranza delle azioni della Barilla G. e R. f.lli s.p.a. e della Ferrero e C.S.P.A. fanno capo a soggetti di nazionalità italiana; come, in tal caso, è stato possibile realizzare tale situazione; se tutto questo sia compatibile con le vigenti norme valutarie e fiscali».

Scava e scava affiorano le maxi-tangenti di Pietro (padre di Guido Maria, Luca, Paolo, Emanuela), il caso Sme, il piduista Berlusconi Silvio (tessera gelliana numero 1816). E poi ancora il pregiudicato Cesare Previti, un esperto in materia di conflitto di interessi alla stregua del suo stesso padrone. Proprio il soldato Previti, relatore del disegno di legge di riforma che ha smantellato la legge 185 del 1990 (una norma che imponeva un controllo reale sul traffico di armi). Previti Cesare è stato anche il primo vice presidente dell’Alenia e ha continuato a sedere nel consiglio d’amministrazione dell’azienda bellica fino al 1994. In un altro libro, stra-documentato ed intitolato Mani Pulite, la vera storia, scritto dai colleghi Barbacetto, Gomez e Travaglio (Editori Riuniti, 2002), si rileva minuziosamente (pagg. 472-474):

«Allo scandalo Sme il pool arriva da solo, senza l’aiuto di Stefania Ariosto: indagando sui conti del finanziere Franco Ambrosio, e risalendo da questi ai conti di un imprenditore in affari con lui, Pietro Barilla (deceduto nel 1993, ndr) si imbatte nel conto zurighese usato da Barilla per pagare tangenti a Dc e Psi. Da quel conto il 2 maggio e il 26 luglio 1988, partono due bonifici di circa 800 milioni e 1 miliardo per l’avvocato Pacifico. Questi versa poi 200 milioni al giudice Verde, 850 a Previti e 100 a Squillante. Perché convocato dal pool, Guido Barilla, figlio del defunto Pietro, non sa spiegare perché mai suo padre avesse versato tutto quel denaro a due avvocati che non avevano mai lavorato per lui. Sembra una storia gemella dell’Imi-Sir (…)

Intanto l’uomo di Arcore invita a cena in un ristorante di Broni due degli inserzionisti pubblicitari più affezionati delle sue tv, Pietro Barilla e Michele Ferrero. E li convince seduta stante a costituirsi in una nuova società, la Iar, che si propone di rilevare la Sme al prezzo di 600 miliardi. La nuova offerta viene ufficializzata dai Barilla e Ferrero nell’ultimo giorno utile, il 25 maggio: il ministro delle Partecipazioni statali Clelio Darida si assenta dalla stanza dove sta per avvenire la firma del contratto Prodi-De Benedetti per ricevere, al telefono, l’improvviso rilancio (…) La Sme resterà all’Iri. Ma Barilla e Ferrero sono contenti ugualmente: il loro scopo era semplicemente quello di impedire a De Benedetti di dare vita a un colosso alimentare che probabilmente li avrebbe schiacciati. Missione compiuta anche per Silvio Berlusconi».

Sempre per masticare la pasta dei Barilla, ovvero “la pubblicità dei buoni sentimenti”, sfogliamo un altro testo dei medesimi autori (brutti e cattivi, sic!), titolato Mani Sporche (Chiare Lettere, 2007); a pagina 63 è attestato senza tema di smentite:

«Il 2 maggio Barilla bonifica 750 milioni a Pacifico, che li preleva in contanti e li porta in Italia. Mentre la Cassazione esce con la sentenza definitiva, Verde comincia a depositare decine e decine di milioni cash sul suo conto italiano. Il 26 luglio, due settimane dopo il verdetto di Cassazione Barilla – capocordata della Iar – riapre il rubinetto svizzero e accredita un’altra provvista, stavolta di 1 miliardo, a Pacifico. Il quale la suddivide fra Previti (850 milioni) e Squillante (100 milioni), stavolta per bonifico bancario, riservando a se stesso appena 50 milioni. Perché mai il socio di Berlusconi nell’affare Sme dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare? (…) L’accusa non ha dubbi: corruzione in atti giudiziari per compravendere la sentenza Sme che consentì a Berlusconi di sconfiggere De Benedetti. Esattamente come avvenne poi nel 1991, con la sentenza Mondadori».

Dunque, soci ed alleati finanziari in realtà produttori e trafficanti di armi ed ordigni di primo livello. Nel 2002 la multinazionale alimentare italiana si è allargata al mercato tedesco acquistando, per un miliardo di euro, la Kamps, produttrice di pane e crackers. L’anno successivo ha comprato per 517 milioni, la Harrys, azienda francese dello stesso comparto. I soldi necessari alla Barilla sono stati elargiti dalla Banca Popolare di Lodi – attraverso cui passano transazioni finanziarie per la compravendita di armi anche a nazioni in guerra o prive di democrazia in barba alla legge 185/1990 s.m.i. (vedi:Relazioni al Parlamento italiano) – che ha costituito una nuova società, la Finba Bakery, e poi in marzo ha girato il 17 per cento della capitale della Finba a vecchie conoscenze della Barilla: tramite la solita finanziaria anonima, la Gafina, la quota è passata nelle mani della famiglia Anda-Bührle, presente nel capitale Barilla con una partecipazione del 15 per cento dal 1979.

Ecco la sorpresa. Nel Memorial Journal Officiel du Grand-Duché de Luxembourg (edizione del 4 maggio 2004 – C n° 469) riaffiora una società anonima: Bakery Equity S.A. (capitale sociale: di 337.139.060 euro, suddivisi in 33.713.906 azioni aventi un valore pari a 10 euro cadauna), costituita dinanzi al notaio Paul Frieders il 3 dicembre 2002. In qualità di amministratore spicca il faccendiere Gratian Anda accanto agli italiani Francesco Mazzone e Fabio La Bruna. L’oggetto principale è l’acquisizione e il controllo di interessi in Finbakery, Partner G, Finbakery Netherlands e Gibco. All’interno di questo calderone ribolle un minestrone finanziario: Barilla Holding (Parma), Finba Bakery Holding (Dusseldorf), Finbakery Netherlands (Amsterdam), Banca Popolare di Lodi (Lodi), Finbakery Europe (Dusseldorf), Gafina (Rotterdam), Gibco o più dettagliatamente Lombok Limited (Gibilterra, un paradiso fiscale), Harrys, Kamps, Ramisa (Convention principale d’investissement et d’actionnariat reformulée et amendée, siglata il 4 novembre 2002 da Bpl, Azionariato industriale e Barilla Holdind S.p.a.), Dutch Foundation (Stichting Bakery Finance di Amsterdam), Finba Luxembourg. In Bakery Equity Luxembourg S.A. figura anche una vecchia conoscenza di casa Barilla (attuale consigliere di Barilla G. e R. Figli S.p.A. nonché Lieken AG) Nicolaus Issenmann (nato a Zurigo il 6 maggio 1950). Ovvio, non è tutto. Dopo una girandola di fusioni, apparentamenti, coperture, scatole vuote, capitalizzazioni e trasferimenti di capitali urgono gli approfondimenti al di là delle Alpi. Il 30 aprile 2009 Ticino Finanza affonda il bisturi nella piaga purulenta:

«E buonanotte ai suonatori… Arrivano Spagnoli e Italiani e se ne vanno gli Elvetici. Infatti, se aprono CMB e Santander, esce dal mercato luganese la banca zurighese IHAG. Al 31 dicembre 2008 il profitto operativo lordo di IHAG Privatbank era di 21.6 mio CHF e il profitto netto 14.6 mio. La banca impiega circa 93 dipendenti. Il personale che operava a Lugano è stato assorbito da altri Istituti, tra cui quelli aperti di recente sulla nostra piazza finanziaria. La banca, presieduta da Gratian Anda, nipote di Emil Georg Bührle, ha partecipazioni in Privatbank IHAG Zürich AG, AdNovum Informatik AG, la fabbrica d’aerei militari e civili Pilatus Flugzeugwerke AG, Hotel Castello del Sole, Hotel zum Storchen, Stockerhof Immobilien, Terreni alla Maggia SA, Private Equity Beteiligungen, Tenuta di Trecciano SA. IHAG rimane dunque in Ticino con un albergo, vini, polenta e la produzione del riso che cresce alla latitudine più settentrionale d’Europa, nel delta della Maggia. Gratian Anda siede inoltre nel CdA della Holding Barilla, in Italia che per il 15% fa capo alla sua famiglia, mentre l’azienda d’armi storica di famiglia Oerlikon-Bührle è stata ristrutturata, vendendo alcune attività e nel 2000 cambiando il nome in Unaxis. IHAG Privatbank dichiara di essere composta da banchieri “denen Sie Ihr Vertrauen schenken können” ovvero in cui possiamo credere e che è caratterizzata da uno spirito di famiglia “das Familiäre kennzeichnet unsere Bank”.

Per famiglia, si intendono forse i signori Bührle e Anda che spendono cifre considerevoli nella sponsorizzazzione di mostre d’arte della Foundation E. G. Bührle Collection nella Zollikerstrasse (Emil Georg Bührle, 1890-1956, è stato il noto produttore di armi nella Oerlikon-Contraves e fondatore della banca IHAG) e di concerti e concorsi musicali come il Concours Géza Anda. Con i tempi che corrono per il Private banking, e visti i risultati concreti di marketing e immagine di una forma obsoleta di comunicazione quale ormai è la sponsorizzazione, forse certe banche dovrebbero smettere di sviolinare e di farsi suonare da improbabili pifferai magici e mettersi a fare banca un po’ sul serio… Le banche svizzere si sono buttate a tagliare in maniera decisa i costi a causa dell’attesa contrazione di quest’anno per la crisi economica globale, il che si è tuttavia tradotto solo in chiusure e licenziamenti “diversamente confezionati”, ma sarebbe ora che si affrontasse in maniera professionale competente quella che viene chiamata da tutti ‘crisi’ che è in realtà un profondo cambiamento strutturale che esige una strategia chiara e illuminata e una politica forte. E quanto a questo, abbiamo visto come è finita con il segreto bancario…».

L’11 maggio 2009 appare sul Corriereconomia la precisazione Barilla:

«Nella tabella pubblicata a corredo dell’articolo del 4 maggio su “Barilla, cambio al vertice e ritorno all’industria”, si attribuisce alla famiglia Anda-Bührle, azionista di gafina BV, anche la proprietà della F. Relou BV. Il dato non è corretto. La catena di controllo dle gruppo è infatti la seguente: Barilla Holding e Gafina detengono, rispettivamente, lo 85% e il 15% del capitale di Finba Iniziative (in futuro chiamata Barilla Iniziative), la quale controlla direttamente o indirettamente il 100% della Barilla G. e R. Fratelli S.p.A. Più in particolare, Barilla Iniziative detiene il 50,62% del capitale della Barilla G. e R. Fratelli e il 100 % della Finanziaria Relou BV, che a sua volta detiene il 49,38% della stessa Barilla G. e R. Fratelli».

Veline? Ecco un comunicato stampa aziendale:

«Barilla, prima azienda italiana al mondo per reputazione. Il Reputation Institute assegna a Barilla il primato per la reputazione tra le aziende italiane e la prima posizione in assoluto nel settore alimentare. Parma, 25 maggio 2010. Secondo una ricerca del Reputation Institute di New York, condotta tra le 600 aziende più importanti al mondo, classificate per fatturato, Barilla si aggiudica la diciannovesima posizione tra quelle con la migliore reputazione, prima tra le italiane e prima in assoluto nel settore alimentare. I risultati della ricerca, pubblicati sul sito della rivista Forbes, sono stati ottenuti attraverso la consultazione diretta dei consumatori in 24 paesi nei diversi continenti».

Nell’ultimo bilancio ufficiale (anno 2009), il presidente Guido Maria Barilla certifica euforicamente:

“Il fatturato consolidato 2009 del Gruppo Barilla che comprende Barilla G. e R. Fratelli e Lieken e opera principalmente in Italia, Stati Uniti, Francia Germania e Nord Europa, si è attestato a 4.171 milioni di euro (…) il risultato netto evidenzia una perdita netta di 101 milioni di euro (…) il Gruppo ha confermato l’ottima solidità finanziaria derivante da una costante generazione di cassa e dal consolidamernto del debito che rimane stabile a 877 milioni di euro (…) In Italia continuiamo a mantenere un comportamento virtuoso”.

E nel resto del mondo, invece? «Lo stile – come sosteneva Pietro Barilla – è un modo di comportarsi che “implica tante cose”. Tutto ciò significa soprattutto ispirarsi a principi e valori condivisi che si richiamano al consenso».

A pagina 12 del Codice Etico aziendale è specificato:

«uno degli aspetti centrali che qualificano la condotta di Barilla è costituito dal rispetto dei principi di comportamento intesi a garantire l’integrità del capitale sociale».

Appunto, i soldi, ricevuti dalla produzione e vendita di armamenti; utili poi investiti dai soci elvetici in strumenti di morte. Armi: un’offerta di qualità che aiuta a vivere meglio dentro e fuori casa Barilla. Consigli per gli acquisti: infarinare bene le carte e negare l’evidenza. Complimenti e buon appetito.

giovedì 23 settembre 2010

Precari e risparmiatori traditi da banche e coop


di Fernando Rossi
Oggi Di Pietro e PD si stracciano le vesti per i precari della scuola che, togliendo al pubblico servizio qualificanti e utili contributi e violando diritti civili ed umani, sono rimasti senza lavoro.

E’, in primis, necessario chiarire che anche tutti gli altri precari sono detentori del medesimo diritto civile ed umano e sarebbe giusto tutelarli.

Detto questo, la ragione del flashback n°3 è quella di ricordare a tutti i partiti del centrosinistra, attuale e di allora, che i precari c’erano anche durante l’ultimo Governo Prodi, e da quel Governo ottennero chiacchiere e promesse.

Era l’ottobre 2006 e avvalendomi della competenza del Presidente dell’Adusbef (attuale senatore di Di Pietro) e del “peso” del mio voto (sfuggito al controllo dei fratelli PdCI) sulla imminente legge finanziaria, ebbi tre incontri con ministri, sottosegretari e referente DS dei lavori sugli emendamenti.

Già nel primo incontro mi fu fatto capire che tra i miei numerosi emendamenti, era meglio trasformarne alcuni in risoluzioni da mettere in votazione alla fine del dibattito, altri rimandarli alla discussione delle rispettive Commissioni, mentre quello sulle riserve aureee e valuta pregiata, così come quello sui Fondi Dormienti era meglio ritirarli perché nel Governo almeno 2/3 Ministri sarebbero stati contrarissimi.

Accolsi alcuni “suggerimenti” (…si anch’io ero e tuttora sono disponibile a dignitosi accordi e mediazioni), ma tenni duro su alcuni emendamenti e risoluzioni, e comprenderete la mia soddisfazione all’ultimo incontro, quando ottenni l’impegno ufficiale del Governo ad accogliere quello sui “Fondi dormienti” (14 miliardi di Euro, più di 27 mila miliardi di vecchie lire) vincolando il loro utilizzo per stabilizzare il precariato pubblico e favorire la stabilizzazione di quello privato (imputando al pubblico parte degli oneri salariali previdenziali, sanitari, ecc.).

Ricordo che il Governo diede la notizia della accettazione del mio emendamento alla riunione dei capi gruppo, per il mio gruppo (ero rimasto come indipendente nel Gruppo Comunisti-Verdi- Consumatori) partecipava la senatrice Palermi, del PdCI, partito che dopo sole 48 ore fece tappezzare l’Italia con un manifesto in cui si arrogava tutto il merito.

Nell’emendamento accolto dal Governo, al pari del problema del precariato era contemplato anche l’utilizzo di tali fondi “Fondi dormienti” (spettanti al Tesoro dello Stato) per indennizzare i risparmiatori ingannati sia dal sistema bancario (Bond argentini, Parmalat, ecc.) che da quello finanziario delle cooperative (Coop Costruttori, ecc.). Le consistenti somme residue sarebbero rimaste nella disponibilità del Ministero del Tesoro e affidate alla Cassa Depositi e Prestiti per opere di pubblica utilità.

A proposito dei fondi a disposizione dei risparmiatori/soci di Cooperative fallite ho, non un sassolino (come ho sopra fatto sui precari) ma, un vero e proprio massone da togliermi.

Nei mesi successivi il Governo adottò il decreto che definiva la materia e fissava i tempi (6 mesi) e le modalità per l’utilizzo dei fondi dormienti.

Poche sere dopo ad Argenta si svolse l’assemblea dei soci della Coop Costruttori; nel mio intervento invitai il Comitato a muoversi di concerto con tutti i gruppi parlamentari per ottenere la parte dei fondi dormienti spettante, come indennizzo a tutti coloro che avevano perso i propri risparmi consegnati alla Cooperativa. Il Segretario Regionale DS, forte del suo controllo sul presidente del Comitato, nonché i deputati Ottone (DS) e Soffritti (PdCI), fecero dell’ironia sulla inesistenza di tali fondi (direttamente in sala e l’indomani sulla stampa locale), facendomi passare per un sognatore o un malato di protagonismo. L’indicazione data a soci e Comitato fu quella di continuare a premere sulla Lega delle Cooperative (regionalmente presieduta, all’epoca del collasso Costruttori, da un altro cittadino argentano DS, che in tal modo veniva messo sotto pressione e indicato come controparte) per avere dai soci cooperatori di tutte le coop della Lega, il 100% di quanto in vari modi versato e perso nella ingloriosa fine della maggiore cooperativa di costruzioni italiana.

Con il passare del tempo questa linea si dimostrava impraticabile e cominciava a scendere l’asticella della quota rimborsi 90%, 80%, 70%…

Diversi mesi dopo in un incontro svoltosi preso la Lega Regionale risvegliai l’attenzione sui Fondi Dormienti, accusando parlamentari e Comitato di non aver fatto nulla verso i propri gruppi parlamentari e verso ministri e sottosegretari.

In quella sede parlamentari, dirigenti lega e presidente Comitato si impegnarono a recuperare il tempo perduto, io segnalai al senatore DS Barbolini (di Reggio Emilia e referente Ds per la commissione Finanze) che avevo dato a tutti i suoi riferimenti e che lo avrebbero contattato.

Per un lungo numero di sedute, questi mi fece segno che… da Ferrara, ancora niente.

La cosa tragica, per le residue illusioni che il centro sinistra sia meglio del centro destra, è che con il nuovo governo di centrodestra, Tremonti ha subito adottato un proprio decreto che ha già tolto i soldi a Bankitalia, passandoli al Ministero del Tesoro.

Morale 1: il centrosinistra è più ubbidiente del centrodestra alla grande finanza.

Morale 2: i soci ed i risparmiatori che si sono fidati dei DS e dei loro parlamentari di contorno, hanno più di una prova provata per praticare il detto “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.

giovedì 29 luglio 2010

CILE: MAPUCHE TERRORISTI???

di Stella Spinelli

Quindici prigionieri nel carcere El Manzano, Concepción, otto in quello di Temuco. Tutti in detenzione preventiva, alcuni da oltre un anno e mezzo. Legge di riferimento, quella Antiterrorista. Eppure si tratta di indigeni Mapuche, la cui unica colpa è rivendicare diritti ancestrali su terre e risorse. Niente bombe, niente piani o attentati, niente armi di distruzione di massa. Ma il trattamento non cambia. E il governo sembra non sentirci. Eppure, nei confronti della questione dei dissidenti politci cubani appena liberati da Castro, il presidente Sebastián Piñera aveva mostrato tutt'altro atteggiamento, impegnandosi a mediare e candidandosi a ricevere i prigionieri in Cile. Due pesi e due misure, pare, visto che il popolo indigeno non smette di gridare al mondo che chiunque di loro venga messo in carcere è un prigioniero politico.


"La posizione del governo centrale è stata di completo appoggio ai prigionieri politici di Cuba. Non si rende conto del problema interno che così facendo hanno creato", ha spiegato Efe María Tralcal, moglie di uno dei mapuche in carcere. Secondo uno studio della Commissione etica contro la tortura, fino allo scorso 23 giugno, in Cile si contavano 106 indigeni incarcerati, condannati o processati nell'ambito di quello che viene definito "conflitto mapuce". Una cifra che in un anno è quasi raddoppiata.

Tutti i prigionieri esigono che il governo intervenga per evitare che alle loro storia processuale venga applicata la brutale legge antiterrorista, che permette di rinchiudere per ben due anni i ‘presunti innocenti'. E non solo. Queste legge impedisce agli avvocati difensori l'accesso agli atti delle indagini, e vieta di presentare testimoni sotto protezione. Un accanimento questo contro la principale popolazione indigena del paese, che è stato apertamente criticato anche dalle Nazioni Unite.

Molti mapuche in carcere hanno scelto, per protestare, la via dello sciopero della fame. La principale denuncia è di essere vittima di "montaggi politico-polizieschi' e la principale richiesta è di farla finita con pratiche che puntualmente violano i diritti umani, fra le quali citano l'estorsione, e le torture fisiche e psicologiche. Per non parlare delle condizioni di reclusione denigranti in cui vengono costretti a vivere. La situazione dei Mapuche in Cile, dunque, è sempre più grave. Nonostante i grandi passi avanti fatti dai popoli indigeni nei vari stati latinoamericani, il Cile resta indietro di decenni. La terra ancestrale, che appartiene a quel popolo da secoli, è preda di aziende agricole e forestali che ne sfruttano con prepotenza le ricchezze, lottando senza lesinare risorse contro le comunità indigene. Per sedare il conflitto, che va avanti da un tempo immemorabile, il governo non ha pensato che a inviare l'esercito e militarizzare la zona. Niente politiche di mediazione, nessuno sforzo per ascoltare e risolvere pacificamente la questione, niente rispetto per i diritti di questa gente. Solo armi e indifferenza

martedì 27 luglio 2010

Grillo un talento di comico che scherza con la salute

Grillo/Casaleggio oggi si scaglia contro l'inciucio idrico di PDL e PdmenoL, per fortuna che Lui sgama chi vuole danneggiare i cittadini, c'è da aspettarsi quindi che lui, il Grillo, sia una figura che non dia adito al minimo dubbio, purtroppo non mi sento proprio di metterci la mano sul fuoco.

Nel post di oggi, è lieto di annunciare di aver “regalato “il microscopio Esem per le nanoparticelle all'Università di Urbino che a sua volta annuncia di essere in procinto di regalarlo all'Arpam di Pesaro.

L'Università di Urbino ringrazia la Onlus Bortolani (i cui bilanci come prevederebbe la normativa sulle Onlus dovrebbero essere pubblici sono un mistero ad oggi, mentre sul sito si possono leggere le ingiurie contro il Dott. Stefano Montanari delle quali esiste una disamina perfetta di Marco Cedolin) per la “donazione” del microscopio, senza ricordare che I CITTADINI hanno PAGATO il microscopio Esem, come è sempre stato dichiarato da Beppe Grillo nel corso dei suoi spettacoli,come specificato nel post “La Ricerca Imbavagliata”, il microscopio era destinato personalmente ai dottori Antonietta Gatti e Stefano Montanari al fine esclusivo di consentire le ricerche sulle nanopatologie e non altro.
Non è stato generosamente offerto dalla Onlus Bortolani alla ricerca, come si lascia intendere dal post di questa "Annunciazione", sarebbe carino, onesto e trasparente venisse spiegato come sono stati raccolti i soldi, ma chi si è dato da fare materialmente come per incanto sparisce.
Bene, oggi si annuncia che il microscopio va alla Arpam, che lo userà per la ricerca sull'amianto, sulla cui nocività ben dal 1992 la legge italiana non ha dubbi, perciò cosa ci sia da ricercare sull'amianto non saprei proprio, ma lo sapranno questi espertoni, poi lo intende utilizzare anche per ricerche su non meglio precisati altri materiali che potrebbero nuocere alla salute.
Bene, ed il Dott,. Montanari e la Dott.ssa Gatti cosa pensa ci stessero facendo il caffé?
Basta andare sul sito della Nanodiagnostics per leggere l'elenco dei loro tests, risultati e ricerche che evidentemente la Arpam non si sente di tenere in considerazione e preferisce ricominciare da zero?
Mi giunge nuova che le Arpa ora siano dedite alla ricerca "libera".
La ricera sulle nanoparticelle da fastidio a molte industrie, da quella dei cosmetici, ai deodoranti, diserbanti e quant'altro, ce la vedete la Arpam a "lottare" contro gli interessi industriali, quando per fare un esempio banale (ma tossico per la salute delle persone) la stessa Striscia la Notizia ha documentato come le Arpa avvisavano in anticipo le aziende dei controlli ai quali sarebbero state sottoposte?

E' curioso come le Arpa non perdano mai occasione per minimizzare incidenti, come nel caso incendio DeLonghi , caso nel quale lo stesso Grillo sospettava che l'Arpa nascondesse dei dati, ora siano degne di totale fiducia da parte di Grillo.
Stupisce percaso notare come in data 19/4/2010 Arpa Emilia Romagna trovasse le acque post sversamento di idrocarburi nel Lambro perfettamente a posto?
Se quelle analisi fossero corrispondenti al vero, ecco spiegato sul perché ci si sorprende della strana morià di pesci nel Lambro documentata lo scorso 9 luglio.


Immagino che mi attenderò riconoscimenti a livello internazionale anche alla Arpam, gli stessi prestigiosi riconoscimenti che il Dott. Monatari e la Dott.Gatti si sono faticosamente guadagnati e meritati?
Chissà se le Arpa avessero raccolto fondi per la ricerca sulle nanopatologie quanta fiducia avrebbero incassato.
Curiosità, al Dott. Montanari è stata fatta chiudere la Onlus Ricerca e Vita dall'Agenzia per le Entrate di Prato, la Onlus Bortolani è ancora operativa nonostante la trasparenza sui conti e bilanci latiti completamente, non sono nemmeno on line, il che per chi chiede i soldi della gente non è un bel biglietto da visita.

I numerosi cittadini che si sono rivolti ai due ricercatori per sottoporre ad analisi referti e campioni, spesso a titolo gratuito, hanno potuto esprimere il loro parere su questa operazione?

Come si sente il Grillo verso quelle persone ai quali era stato dichiarato che il microscopio era per i due ricercatori poi finito nelle mani dell'Arpam?

Cosa si deve pensare di un soggetto che in diversi frangenti ha espresso critiche verso l'Arpa, ora è pronto a regalare un microscopio aquistato con i soldi dei cittadini che a questo punto si può ben dire siano stati ingannati?

La Bortolani dichiara che il microscopio potrà essere usato dai due ricercatori, ma se sul loro sito li diffamano, come si può pensare che i due si facciano due ore di viaggio ogni tanto per usare il microscopio che deve essere ritarato ogni volta che viene utilizzato diversamente?

Cosa pensa Grillo dell'Università di Urbino che ”fornì” un consulente tecnico, tal Prof. Orazio Attanasio alla ditta che avrebbe dovuto costruire una centrale a biomasse ( i cui vertici sono indagati per truffa ai danni della Comunità Europea)?

La trova una scelta coerente quella della Bortolani che da il microscopio dei cittadini per fare ricerca solo sulle nanopatologie da Gatti e Montanari ad una Università che avallò una centrale a biomasse contro la quale i cittadini si stavano battendo?

Ma Grillo non era contrario alle biomasse?

Il Sig. Grillo si è “fatto un nome” riciclandosi come “antagonista del sistema”, ha cominciato a “denunciare” la politica inceneritorista, a chiamare cancrovalorizzatori (giustamente) i termovalorizzatori, certo di fare incetta di consensi da parte di persone che in buona fede sono colpiti nella salute da questi strumenti di morte, pertanto la scelta di far finire il microscopio in mano alla Arpam a mio avviso è in netto contrasto con quanto fatto credere fino ad oggi.

Perché dovrei ritenere ipocriti Pd/pdl per la loro politica inceneritorista che almeno dichiarano apertamente e ritenere uno che tanto sbraita contro gli inceneritori che mi consegna il microscopio (che è in grado di fornire prove schiaccianti di nocività) proprio a chi nega tante evidenze più corretto di costoro?

Barbara

mercoledì 21 luglio 2010

OGM E CRIMINE ORGANIZZATO


DI SILVIA RIBEIRO
jornada.unam.mx

Tutti i semi transgenici esistenti sono controllati da sei imprese: Monsanto, Syngenta, DuPont, Dow, Bayer e Basf. Sono multinazionali del settore chimico che si impadroniscono delle compagnie di grani per controllare il mercato agricolo, vendendo semi che si legano ai pesticidi che esse producono (erbicidi, insetticidi, ecc.).

Oltre a Monsanto, oramai indicata come il “villano” globale, tutte hanno una storia criminale che include, tra gli altri reati, gravi disastri ambientali e contro la vita umana. Tutte, una volta scoperte, hanno cercato di rifuggire le proprie colpe, tentando di deformare la realtà con menzogne e/o con la corruzione. Il fatto che tutti gli OGM siano omologati e che la contaminazione è un delitto per le vittime significa che qualunque paese autorizzi gli OGM di fatto consegna la propria sovranità alle decisioni di alcune multinazionali che agiscono secondo loro esigenza di lucrare. Inoltre, trattandosi di queste imprese, autorizzare la semina di OGM vuol dire consegnare i semi, i contadini e la sovranità alimentare a un pugno di criminali in grande scala. Crimine organizzato, legale.



Recentemente un tribunale in India si è pronunciato, dopo circa venti anni di richieste della parte lesa, su un caso che riguarda una di queste imprese: Dow. Parliamo di uno dei peggiori incidenti industriali della storia: un’enorme fuga “accidentale” di gas tossico della fabbrica agrochimica Union-Carbide, nel Bhopal in India, nel 1984. I comitati dei sopravvissuti (www.bhopal.net) stimano che sono morte più di 22 mila persone e che 500 mila hanno avuto conseguenze permanenti. 50 mila sono così malate da non poter lavorare per mantenersi. Recenti studi confermano che anche i figli delle vittime hanno avuto danni. La percentuale delle deformazioni nelle nascite in Bhopal è di 10 volte superiore al resto del paese, la frequenza del cancro molto più elevata della media. L’acqua di oltre 30 mila abitanti del Bhopal è ancora contaminata dalla fuga dei gas. Le vittime e i familiari hanno lottato duramente per decenni perché venissero curate e fossero pagate le spese mediche delle persone colpite, per la ripulitura del luogo e per portare a giudizio i responsabili.

Dow ha comprato la multinazionale Union-Carbide nel 2001. È stata una succulenta espansione della lucrosa vendita di agenti tossici e un modo di proseguire gli affari liberandosi dalla cattiva reputazione causata dall’incidente. Secondo il contratto di acquisto, Dow si sarebbe fatta carico di tutte le responsabilità della Union-Carbide. Dow aveva preventivato 2 miliardi e 200 milioni di dollari per potenziali risarcimenti dovuti all’amianto negli Stati Uniti, ma nemmeno un dollaro per pagare gli indennizzi dovuti in India, dimostrando che per loro la vita della gente dei paesi del sud del mondo non conta nulla. Non si è mai presentata nei tribunali in India. Anzi, ha assunto un atteggiamento aggressivo nei confronti delle vittime, chiedendo risarcimenti per migliaia di dollari a chiunque avesse manifestato davanti alla sede dell’impresa per il disastro del Bhopal.

L’8 giugno 2010, un tribunale ha emesso un verdetto per 8 dirigenti della Union- Carbide. La sentenza per la morte di 22 mila persone è di un cinismo feroce: due anni di carcere e circa 2 mila dollari di multa per ognuno di loro, nonostante nessuno dei sei sistemi di sicurezza della fabbrica fosse in funzione per così poter ridurre i costi. Warren Anderson, presidente della Union-Carbide al momento dell’esplosione e principale responsabile dell’incidente, è fuggito negli Stati Uniti dove continua a vivere nel lusso, difeso dalle richieste di estradizione dagli avvocati della Dow.

Lungi dall’essere un caso isolato, “di un’azienda diversa”, Dow già aveva familiarità col genocidio. Ha fabbricato il napalm usato in Vietnam e condivide con Monsanto la produzione dell’Agente Arancio, anche questa sostanza tossica è stata usata in Vietnam e tuttora causa deformazioni nei nipoti delle vittime. Anche in quel caso, Dow e Monsanto hanno cercato di evitare qualunque compensazione, pagando alla fine una minuzia. Più recentemente, Dow si trova sotto processo per vendita e promozione – pur consapevole delle gravi conseguenze – del pesticida Nemagon (DBCP) in vari paesi latinoamericani, che ha provocato sterilità nei lavoratori delle piantagioni di banane e deformazioni congenite nei loro figli (www.elparquedelashamacas.org). Questi orrori non sono un’eccezione, ma all’ordine del giorno nelle imprese di OGM, che sistematicamente disprezzano la vita umana, la natura e l’ambiente per aumentare i propri profitti. È bene ricordare, ad esempio, che Syngenta ha coltivato illegalmente mais transgenico in aree naturali protette del Brasile e, in seguito alle occupazioni per protesta da parte del Movimento dei Senza Terra, ha assoldato una milizia armata che ha sparato a bruciapelo a Keno, del MST, ammazzandolo. Monsanto in questo momento sta cercando di sfruttare la tragedia provocata dal terremoto a Haiti per imporre la contaminazione e la dipendenza del paese dai suoi semi modificati. DuPont ha continuato a vendere i pesticidi - già proibiti negli Stati Uniti, come il Lannate (merhomyl) - nell’Ecuador, Costa Rica e Guatemala dove ha provocato l’avvelenamento di migliaia di contadini. Basf e Bayer sono accusate di fatti simili.

Possiamo credere a queste imprese sul fatto che gli OGM non hanno conseguenze ambientali né sulla salute e che se ci dovesse essere una contaminazione transgenica di tutto il mais, loro sarebbero vigili e la terrebbero sotto controllo?

Silvia Ribeiro. Ricercatrice del Grupo ETC

mercoledì 7 luglio 2010

RISPARMIO ENERGETICO


DI MARCO DELLA LUNA
marcodellaluna.info

In Ottobre scadranno grandi quantità di bonds italiani, e il governo dovrà rinnovarli e ricollocarli sui mercati, quindi sarà ricattabile dalle agenzie di rating e dalle banche che le posseggono: se il governo non seguirà le loro indicazioni, dovrà pagare tassi elevati, e ciò si tradurrà innanzitutto in centinaia di migliaia di posti di lavoro in meno.

Per abbassare il rischio di default dei suoi bonds, il governo deve introdurre misure atte a sostenere la finanza pubblica, alleggerendo la spesa, nel medio-lungo termine, cioè nel termine di scadenza dei nuovi bonds, onde rassicurare i loro potenziali acquirenti in modo che li comperino a un tasso di interesse moderato. La misura diretta per alleggerire la spesa pubblica nel medio-lungo termine, soprattutto con una popolazione che invecchia, è spostare in avanti l’età pensionabile – e questo il governo lo sta facendo con ritardo e tentennamenti. Una misura obbligata, quella delle pensioni, dato anche che il debito pensionistico si aggira sui duemila miliardi, e si aggiunge al debito pubblico di millesettecento miliardi.

Totale tremilasettecento miliardi, il 320% del pil, all’incirca. Già da tempo i contributi previdenziali in realtà sono tali solo di nome, perché non vengono investiti e accumulati per costituire rendite vitalizie, ossia future pensioni, ma vengono spesi direttamente per pagare le pensioni in essere – quindi in realtà sono tasse. Senza il prolungamento della vita lavorativa, presto avremo più pensionati che lavoratori. Gli immigrati non giovano, perché molti lavorano senza versare contributi, mentre gravano pesantemente, assieme ai loro familiari, sulla spesa assistenziale e sanitaria.

Ma l’innalzamento dell’età pensionabile è una misura insufficiente. Dovrebbe essere affiancata da misure per il rilancio della produzione e della domanda nel breve termine. Misure che non vengono. Le prospettive a brevissimo termine sono fosche. Entro il prossimo Settembre si stima che chiuderà il 20% delle piccole imprese. Ne conseguirà un’ondata di disoccupazione e un calo dei consumi e del gettito fiscale, maggiori oneri assistenziali, nonché una nuova stretta creditizia. Qualora poi il rinnovo dei bonds vada male, sarà necessaria una manovra pesante. Al contempo, Grecia e Spagna sono sotto allarmata osservazione, ed è in discussione l’Euro stesso (che, ricordiamo, è un sistema di cambi fissi, e non moneta unica).

Peraltro il problema di fondo delle economie di quasi tutto il mondo, e del quale non si parla alla popolazione generale, è il meccanismo dell’interesse composto sul debito pubblico e privato, che, col passare degli anni, drena crescenti quote del reddito, distogliendole da investimenti e consumi, con un andamento esponenziale rispetto al quale le tasse e i tagli, al punto in cui siamo, possono solo guadagnare qualche mese. L’ultima manovra basterà sino a Ottobre. Si apriranno subito dopo scenari che spingeranno il governo a nuove manovre, questa volta con lacrime e sangue.

La spesa pubblica è cresciuta del 40% dal 2000 ad oggi, in dieci anni quasi tutti governati dal centro-destra, nonostante i dichiarati interventi a suo contenimento. Ciò è dovuto al fatto che il ceto politico italiano ricava dalla spesa pubblica sia i suoi profitti (malversazione, corruzione, peculato) che i mezzi per acquisire i consensi (lobbistici, mafiosi, elettorali) e per perpetuarsi al potere (spesa clientelare). Siccome sa fare solo questo e non amministrare bene, almeno a Roma e al Sud, non può che aumentare continuamente la spesa pubblica al fine di procurarsi i mezzi per comperare i consensi che non può ottenere con la buona amministrazione, anzi che perde, per effetto della sua cattiva amministrazione. Milioni di italiani, di elettori dipendono da una spesa pubblica distruttiva e insostenibile. Ciò imprigiona lo Stato italiano, e soprattutto Roma e il Sud, che hanno un crescente bisogno di essere mantenuti, in una spirale di inarrestabile degrado economico e civile. Il degrado politico e giudiziario è invece già completato, come quello scolastico.

Berlusconi, nonostante le sue promesse e le forti maggioranze di cui sulla carta disponeva e dispone, non ha affatto interrotto tale spirale e non ha fatto alcuna reale riforma, limitandosi a galleggiare e a difendere dagli attacchi giudiziari (che in parte erano e sono politici e partigiani, in parte no) se stesso e pochi altri. Ovvio che non poteva e non può contenere la spesa pubblica inefficiente, avendo bisogno, per salvarsi dai processi e per la stessa sopravvivenza del suo governo, del voto e del sostegno anche dei beneficiari e dei fruitori di quella medesima spesa. Piuttosto di tagliare la spesa parassitaria, imporrebbe nuove tasse – una patrimoniale, magari. Il centro-sinistra ha invece agito direttamente per consegnare le risorse pubbliche e la finanza pubblica ai potentati finanziari stranieri di cui suoi esponenti di spicco sono diretta emanazione.

In luogo delle riforme, Berlusconi porta avanti la c.d. legge bavaglio anti-intercettazioni e gli scudi antiprocesso che gli sono necessari per non essere sottoposto a pubblico giudizio penale da parte di magistrati in parte a lui ostili, mentre dovrebbe governare.

Vi sono buone ragioni sia pro che contra la legge bavaglio e lo scudo antiprocesso. In quanto alla prima, il diritto alla riservatezza è un fondamentale diritto dell’uomo, tutelato dalla legge, e troppi magistrati e giornalisti si sono abituati a violarla sistematicamente, sia per facilitarsi le indagini, sia per farsi pubblicità, sia per lucrare mazzette dai mass media, sia per vendere più copie, sia per influenzare e ricattare politici e istituzioni. Però senza intercettazioni facili diverrebbe difficile o impossibile individuare e reprimere molti gravi delitti e gruppi criminali, che minacciano o guastano la vita sociale e l’attività istituzionale. Gruppi che sono fortissimi, radicati, istituzionalizzati, così che indebolire l’azione di contrasto ad essi, e nascondere alla gente ciò che su di essi via via si scopre, equivarrebbe, probabilmente, a lasciar loro mano libera sullo Stato e sulle amministrazioni locali. In quanto al secondo, anzi ai secondi (perché di scudi ve ne è più d’uno, anzi vanno sempre rinnovati in quanto la Corte Costituzionale li dichiara illegittimi), da un lato è evidente che non ci dovrebbero essere privilegi giudiziari per alcuno (salve le immunità diplomatiche), e che la giustizia dovrebbe poter giudicare e reprimere anche i politici, soprattutto se hanno cariche pubbliche, perché se risultano essere colpevoli di gravi reati, devono essere rimossi tanto più rapidamente, quanto più è importante la loro carica. Al contempo, dall’altro lato è altrettanto evidente che è di pubblico interesse che il prestigio anche internazionale e la libertà di azione di coloro che sono al governo non siano attaccabili o condizionabili mediante azioni giudiziarie, corrette o strumentali che siano. Inoltre, in un sistema come quello italiano, in cui non si consegue potere politico ed economico se non violando e facendo violare, in modo organizzato, le regole ufficiali – in un sistema cioè in cui tutti i politici e gli imprenditori che contano hanno scheletri nell’armadio, senza uno scudo giudiziario e un bavaglio mediatico tutti sono delegittimabili ed condizionabili da chi esercita il potere giudiziario come pure da chi dispone di archivi e dossier di un certo tipo. Alla fine sarebbero questi soggetti a decidere, senza assumersi però alcuna responsabilità politica, chi e come debba governare e fare affari. E i magistrati italiani, maggioritariamente, sono già costituiti in gruppo di interesse sindacalmente (o corporativamente) organizzato, con cui svolgono azione politica di parte. Sono quindi lontanissimi da ciò che dovrebbero essere per svolgere le funzioni assegnate loro dalla Costituzione, sicché sarebbe un controsenso affidare loro il compito e i mezzi per ristabilire la legalità, come alcuni vorrebbero, perché la loro posizione è, di fatto, essa stessa illegittima. Sarebbe un controsenso come l’affermare, in un sistema in cui i candidati sono scelti dalle segreterie dei partiti politici e non dal popolo, che l’investitura elettorale sia il criterio finale di legittimazione, davanti al quale anche i giudici devono fermarsi. In conclusione, dobbiamo prendere atto che manca un fondo sano a cui appoggiarsi, sia dal lato della giurisdizione che dal lato della legittimazione democratica; che interventi risanatori sono possibili solo se le devianze sono circoscritte e non sistemiche; e che pertanto conviene risparmiare le energie, non spenderle in sforzi inutili: infatti, non vi è una soluzione possibile ai problemi suddetti, perché non si tratta semplicemente di contemperare principi e valori generali per certi versi contrastanti (il diritto alla privacy con l’esigenza di indagare, il principio di eguaglianza coll’esigenza di prestigio e non ricattabilità del governo), ma di un sistema di potere reale che vive di regole incompatibili con quelle ufficiali, sia della Costituzione, che del Codice Penale. L’Italia non ha, per sua “composizione”, alcuna possibilità di essere uno Stato di diritto, né uno Stato basato su leggi scritte, né uno Stato basato su trasparenza e accountability del potere effettivo, né un sistema-paese capace di adattarsi e di correggersi in relazione all’evoluzione della tecnologia o della competizione globale. Infatti, da vent’anni è in declino e nessun governo fa riforme correttive.

Nel momento, che potrebbe ben collocarsi nel prossimo inverno (per le ragioni suddette), in cui il declino e l’impoverimento produrranno gravi proteste sociali e delegittimazione dello Stato, resterà una sola riforma possibile per mantenere la governabilità e l’unità del Paese: una riforma in senso poliziesco, autoritario, legittimata dall’emergenza, attuata probabilmente da un nuovo governo “di larghe intese”, istituzionale, sostenuto dal Quirinale. Tale riforma è verosimile che sia fatta e che abbia successo, perché la popolazione italiana è complessivamente incline al compromesso e alla ricerca dell’espediente, mentre non è portata a lottare per la libertà, la dignità, la difesa del lavoro e del risparmio. Per tenerla a bada in un periodo di forte recessione basteranno sorveglianza telematica, sanzioni fiscali e amministrative (accertamenti fiscali intimidatorii, fermi amministrativi, esclusione da pubblici servizi e benefici) assieme a violenze di branco in uniforme da parte delle forze dell’ordine sui cittadini che protestassero – violenze di cui moltissimi dei loro componenti hanno ampiamente dimostrato di essere capaci, con o senza guida dai vertici gerarchici, fino all’omicidio e alla calunnia. Il G8 di Genova è stato un collaudo generale di questo strumento.

L’alternativa sarebbe quella della liberazione del Nord, quale entità economicamente e civilmente vitale, da ciò che recentemente The Economist ha definito “Bordello”, cioè Roma e il Sud – entità oggettivamente distruttiva sia dell’economia, che della capacità di ammodernarsi, che del rispetto e delle fiducia verso regole e istituzioni, cioè della base di qualsiasi capacità organizzativa. Se si conosce il sistema economico, amministrativo e politico di Bordello, non si accetta l’idea di essere uniti ad esso e di essere amministrati dalla sua burocrazia e con la sua cultura. Ma la liberazione del Nord da Bordello non è realisticamente fattibile.

Occorre quindi risparmiare l’energia mentale ed economica di cui si dispone, non disperderla in vani tentativi di correggere l’incorreggibile, e impiegarla per costruire, per sé e per i figli, un futuro oltre confine.